L’incertezza di una sedia, allegoria di presenza temporanea, di pieno e di vuoto, di imposizione e di scelta. La dicotomia irrisolta delle sue forme riverbera nella sua effimera funzione, rendendo manifesta una presenza o palesando un’assenza. Riflettere sul significato e sul senso dell’assedio, letteralmente “star seduti davanti” ai propri pensieri e alle emozioni trasmesse dall’oggetto, significa senza dubbio per Giovanni Trimani riconsiderare il ruolo dell’artista nel mondo moderno, ma prima ancora ripensare la collocazione della propria identità individuale all’interno della sua storia personale, cercando di rendere stabile l’instabilità attraverso una figurazione emotiva che nell’atto concettuale della sua elaborazione rivela la volontà di fare memoria. Dobbiamo rimanere al nostro posto, nel ruolo che ci è stato simbolicamente assegnato, oppure è possibile cambiarlo in base alla nostra volontà, al libero arbitrio che ci è stato concesso? Metaforicamente, Giovanni Trimani ripercorre il ruolo assegnato all’oggetto sedia dalla storia dell’arte come tacita testimone di solitudine, attesa, quotidianità. Su esse non appoggia nulla, ché debbono restare allegoria dell’uomo e dei suoi desideri attraverso la loro semplice presenza fisica, composta di braccia, gambe, schiena. Decidere dove sedersi indica quale atteggiamento si è deciso di tenere nei confronti della realtà, accomodarsi vuol dire prendere coscienza, assumere contezza di sé. Il progetto dell’AssediA è molto più di una riflessione artistica attraverso una natura morta: è la viva consapevolezza che si prova davanti ad uno specchio, cui è necessario dare ascolto.
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